sabato 25 febbraio 2012

Perchè un gatto non è un cane?

Randagio dell'isola d'Elba
   Perché un gatto non è un cane? Bella domanda, di quelle che, se le fai per strada, rischi un ricovero in diretta alla neurodeliri, eppure alla quale non è banale rispondere. Cioè, lo sappiamo tutti che i cani sono dei "canidi" e fanno "bau", mentre i gatti sono dei "felini" e fanno "miao", come anche sappiamo più o meno tutti che i cani sono il miglior amico dell'uomo e che i gatti cacciano i topi ma, in realtà, qual'è la maggiore differenza fra un cane ed un gatto? Bè, è semplice, il gatto è un animale
domestico, cioè che può convivere civilmente con l'uomo con mutuo profitto; il cane è un animale addomesticato, cioè modificato artificialmente in modo da poter convivere con un uomo con mutuo profitto. Tradotto in parole povere un gatto domestico è identico ai suoi progenitori selvatici, un cane no; quest'ultimo differisce dallo sciacallo e dal lupo, i suoi antenati, in maniera considerevole. Questo lo vediamo chiaramente quando, ad esempio, osserviamo un gatto che ha perduto i padroni ed un cane nella stessa situazione. Il primo, dopo un breve periodo di adattamento, riscopre tutti quei meccanismi innati che hanno consentito alla sua specie di sopravvivere praticamente in ogni parte della terra e si comporta esattamente come i suoi simili che non hanno conosciuto le mura domestiche, il secondo è perso, assume comportamenti devianti e, anche quando si unisce con altri animali che si trovano nella stessa situazione formando dei branchi, manca di quel comportamento sociale che ha consentito la sopravvivenza dei suoi antenati. Potremmo quasi dire che, più che dei branchi, i cani inselvatichiti formano delle bande, prive di una reale struttura sociale. L'uomo, cioè, nella sua opera di addomesticamento ha privato il cane di alcune delle caratteristiche che rendevano lupo un lupo o sciacallo uno sciacallo, caratteristiche non utili o addirittura fastidiose nell'ottica umana, ma indispensabili nella vita selvatica.
   Con il gatto tutto questo non è successo, per fortuna, e così ci troviamo nella previlegiata situazione di coloro che possono osservare un animale ancora identico ai suoi antenati selvatici nella comodità di casa loro. Se poi abbiamo la fortuna di  poter osservare più di un gatto, gatti interi, non castrati, allora ci si apre un mondo, ma perché ho specificato "gatti interi"?
   Osservando i gatti delle colonie feline, animali che una regola "buonista" vuole castrati "per il loro stesso bene", e confrontando il loro comportamento con quello dei gatti che, in qualche piccola realtà, sopravvivono interi, possiamo subito notare che i comportamenti sono estremamente differenti. Nelle colonie dove i gatti non vengono castrati i maschi giovani sono tollerati a fatica dal maschio anziano, cattivo soggetto dal quale le femmine difendono con le unghie e con i denti i suoi stessi piccoli, salvo poi concedersi spudoratamente quando l'estro le coglie. I gattini giocano e, spesso, quando esagerano, madri e zie provvedono a rimetterli in riga con qualche potente zampata. Le madri, subito dopo il parto, nascondono i piccoli, cambiandogli spesso posto e, se non tollerano un maschio nelle vicinanze del nido, accettano a fatica anche la presenza della mano che le nutre. Le femmine si coalizzano nell'educazione dei piccoli, severe e protettive, insegnando loro a cacciare o ad uccidere piccole prede. Anche l'accettazione di gatti estranei avviene secondo delle regole particolari. Le femmine vengono accolte quasi subito nel gruppo, i maschi, invece, o accettano di vivere ai margini, o devono sfidare l'autorità di quello dominante e vincere per potersi inserire.
   Le lotte sono quasi sempre rituali, ma non per questo meno accese. La notte, quando due gatti si sfidano, si accende di urla tali da portarci in piena selva. I gatti sono pesantemente armati e ne sono consapevoli. Sanno perfettamente che, quando il gioco si fa duro, a farne le spese sono entrambi i contendenti, e che non serve a nulla vincere una contesa e restarne storpiati, perché qualcun altro si approfitterebbe subito di questa nuova debolezza. Così la lotta, quasi sempre, non è fatta di un vero scontro, quanto di una dimostrazione di forza e determinazione che si conclude al primo sangue, con la ritirata del meno motivato fra i due contendenti. Questo, se ci pensate bene, aumenta la stabilità del branco. Uno straniero che sfida il maschio dominante, infatti, minaccia la casa, il cibo e le femmine dello sfidato il quale ha troppo da perdere per tirarsi indietro per cui, fatto salvo il caso di una manifesta superiorità dello sfidante, lo scontro si concluderà sempre con la ritirata di quest'ultimo. In questo modo la successione dell'animale dominante avrà luogo solo quando lo sfidante sarà molto superiore allo sfidato, garantendo così sia la stabilità della colonia che la selezione ed il miglioramento della specie.
   Bello no? Non molto diverso da quello che succede per i leoni. Bello eppure crudele. In questo gioco i più deboli non hanno un ruolo e, ogni tanto, scompaiono. Non c'è spazio per la "bontà", il gatto è un opportunista che ama chi può fare qualcosa per lui ed ignora tutti gli altri, a meno che non rappresentino "cibo" o "divertimento". Concentrato di vitalità, forza, ferocia ed egoismo, il gatto ci mostra aspetti della vita troppo "duri" per i gusti odierni e così, invece di prenderne atto, preferiamo cambiarlo in qualcosa di più accettabile dalla nostra eccessiva sensibilità, trasformandolo, come già abbiamo fatto con il cane, in qualcosa di totalmente diverso.
   Niente di male, in tutto questo, se lo facciamo con gli esemplari domestici che già vivono in modo innaturale, ma pericolosissimo se lo facciamo in grande stile, con gli esemplari selvatici nelle colonie feline. Di questo passo, in pochi anni avremo portato alla degenerazione, almeno nel nostro paese, una specie che vive felice su questa terra da molto prima che l'uomo imparasse a camminare eretto.
   Allora, sarebbe bene che chi ama i gatti non perché gli ricordano tanto un orsetto di pezza o perché è tanto arido dentro da non riuscire ad andar d'accordo con gli uomini, ma per quel'aura di libertà e di gioia di vivere che li circonda, spiegasse bene a chi non lo ha capito di suo che questo tipo di "buonismo" è innaturale e dannoso e che l'idea che hanno avuto questi pseudo-animalisti di castrare tutti i gatti non è molto diversa da quella, dei nazisti, di castrare gli ebrei ed i polacchi.
   Non è per il bene dei gatti, che lo fanno, e neppure per un "bene superiore", ma solo per soddisfare il loro ego, e facendolo ci privano di quella che forse è l'ultima finestra di osservazione della natura incontaminata.

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