lunedì 16 luglio 2012

Mais o Granoturco
   Fra le stranezze di questo mondo governato dalle logiche illogiche di un mercato globale deviato, c'è quella della coltivazione del frumento e del granoturco. Il granoturco, coltivazione di origine americana, attualmente sta spopolando in Italia ed in Europa, grazie all'alto contenuto energetico del chicco che viene utilizzato come combustibile nei
termovalorizzatori e per la produzione di mangimi animali.
frumento
   In compenso il frumento, coltivazione di origine europea, viene coltivato in Nord America ed in Canada ed esportato in Europa (in particolare in Italia) per la fabbricazione della pasta. 
   Questo fatto, già di per sé demenziale, ci porta oltretutto a consumare pasta fatta con farine provenienti da grano duro coltivato in climi non adatti, dove la semina ed il raccolto sono necessariamente ritardati e dove, di conseguenza, il cereale si trova a competere con le infestanti che possono essere sconfitte solo per mezzo di trattamenti chimici che, essendo necessari prevalentemente negli ultimi 15 giorni prima del raccolto, contaminano irrimediabilmente le farine con sostanze tossiche e teratogene (stiamo parlando del "Round up" della Monsanto). 
   La logica economica di questa follia è legata, sostanzialmente, ai sussidi per la produzione di bioenergia. Tuttavia non si considera, in questo processo, che NON HA SENSO PRODURRE ENERGIA IN MODO ALTERNATIVO SE QUESTO NON E' ECONOMICAMENTE CONVENIENTE ANCHE SENZA INCENTIVI. Quello che servirebbe sarebbero delle direttive che, in barba alle richieste del mercato, vietassero l'utilizzo dei terreni agricoli primari per la coltivazione di piante destinate alla produzione energetica e che vietassero l'importazione di granoturco dall'estero fino a che le risorse locali riescono a soddisfare il bisogno manifatturiero. In questo modo si toglierebbe all'industria di trasformazione la leva che le ha consentito, in questi ultimi decenni, di forzare il prezzo del grano a minimi inaccettabili e si risolleverebbe l'agricoltura locale che, ricordiamolo, ha una tradizione di eccellenza nella produzione di grano duro.
   Sarebbe inoltre, a mio parere, da limitare l'uso del mais nella preparazione di mangimi, preferendogli nel caso un modesto quantitativo d'Orzo. Una alimentazione bilanciata, non basata solo sull'apporto proteico ed energetico, sia pure diminuendo la velocità di crescita dell'animale porta ad un miglioramento della qualità delle sue carni sia in termini di sapore che in termini salutistici. Mangiare meno carne, quindi, per mangiarla meglio.
   Riassumendo rendendo l'Europa ed i singoli stati per quanto possibile autonomi per la produzione di grano:
  • si toglierebbe alle aziende di trasformazione il potere di imporre un prezzo eccessivamente basso alla materia prima;
  • si toglierebbe alle multinazionali il potere di lucrare sulla fame della gente;
  • si eviterebbe di mangiare cibo prodotto con l'utilizzo di metodi chimici poco ortodossi;
  • si farebbe un passo importante nell'ottica di un risparmio di combustibili destinati al trasporto dei cereali;
  • si farebbe un passo importante nell'ottica di limitare le importazioni fra la CEE ed il resto del mondo a ciò che non è di primaria necessità;
  • si toglierebbe alla gente e, specialmente, alle banche che finanziano la nascita degli impianti, la possibilità di lucrare destinando terreni primari alla produzione di energia in perdita;
  • si impedirebbe alle povere industrie Canadesi e Nord Americane di arricchirsi con la produzione di grano "bionico";
  • si limiterebbe la produzione di mangimi ipercalorici per gli animali d'allevamento.
   Voglio ricordare, senza assolutamente voler fare le lodi di un regime totalitarista, che durante il ventennio si combatté la cosiddetta "battaglia del grano" che rese l'Italia autonoma nella produzione di grano duro. La conseguenza fu una autonomia che, oltre ad alimentare, era politica. Una volontà di questo genere oggi sarebbe osteggiata da tutti i centri di vero potere (banche e multinazionali) ma potrebbe essere vincente per l'Europa e, in termini di sostenibilità e consumo di materie prime, per il mondo intero. Filiera corta, prodotti locali e qualità del cibo come parole chiave per uscire dalla crisi economica e riportare produzione e consumo al servizio dell'uomo e non dell'economia.


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