venerdì 13 luglio 2012

La crisi che non c'è


   C'è una cosa che mi colpisce, di questa crisi che, come una macchia d'olio, si sta allargando sull'Europa e che, malgrado tutto, arriverà a coprire anche Francia e Germania, le autoproclamatesi virtuose della situazione: il fatto che, esattamente come era successo nella ex Unione Sovietica e, prima ancora, nel lato australe dell'America, la crisi, per la verità, non c'è, o meglio, non c'era, ed è stata costruita ad hoc. Quando, leggendo Shock economy, di Naomi Klein, si scopre l'esistenza di una movimento socioeconomico, ideato da Milton Friedman, incentrato sullo sfruttamento delle crisi, in grado di

demolire ogni struttura sociale e di imporre il più bieco liberismo, applicato senza ritegno inizialmente come un "esperimento sociale" e successivamente per la volontà di lobbyes rappresentanti banche, multinazionali e fondi di investimento, si è portati a pensare, con un lieve sollievo, "non qui, non ora". Ebbene no, è meglio non cadere nel facile ottimismo, "qui ed ora, cazzo".
A chi piace la crisi?
   Voglio dire, perché la crisi? Quando, prima della guerra, si instaurò il fascismo in Italia, la crisi c'era, la gente aveva fame e da mangiare non ce n'era per tutti. Non per niente una delle prime opere del fascismo fu la cosiddetta "battaglia del grano", tesa a rendere autonomo il paese per quanto riguardava la sussistenza di base. Lo stesso dicasi per la Germania, uscita da una prima guerra mondiale che l'aveva vista in ginocchio. In Europa, oggi, la crisi invece non c'era, l'hanno dovuta costruire. Non c'era perché, fino a prova contraria, nessuno muore di fame e, in generale, a ben pochi manca il companatico. Non c'era perché, Deo gratias, non dipendiamo dal resto del mondo per la sussistenza di base. Non c'era perché l'Europa, malgrado tutto, rimane l'unico continente in grado di esportare tantissime cose come la cultura, la storia (che poi si vende ai turisti e che in America ed in Oceania ci invidiano) e le tradizioni culinarie, perché ricordiamoci  che se anche possiamo importare dall'America la Coca Cola, tutto il resto lo esportiamo noi.
   Ed allora, chi ha gridato "al lupo" instaurando questo meccanismo di crisi e, specialmente, perché? Cui prodest insomma? Partiamo subito dicendo che un paese o, in questo caso, un intero continente che sia autonomo per i bisogni primari (e l'Europa lo è) non può essere in crisi per definizione. Non può essere in crisi perché per redistribuire i beni primari fra la popolazione è sufficiente svalutare la moneta, ed i beni primari sono sufficienti per tutti. Una svalutazione programmata della moneta accompagnata dalla emissione di nuovo denaro potrà forse rendere difficoltoso acquisire valuta straniera con la quale comperare beni non indispensabili ma, di fatto, questo porta automaticamente ad un aumento della occupazione interna (aumenta la richiesta di beni che devono essere prodotti in casa e delle esportazioni) il che, in generale tenderà nel medio e nel lungo termine a riaumentare il potere d'acquisto della moneta sul mercato internazionale. Operando in questo modo si potrebbero forse rendere infelici i cinesi, i giapponesi e gli americani, che non potrebbero più lucrare sull'Euro ma, in fin dei conti, ci interessa proprio fare felici gli extracomunitari a nostre spese?
   Ci sarà subito chi, a fronte di questa mia asserzione, dirà che non siamo autonomi, che abbiamo bisogno del petrolio dell'OPEC. Io risponderei a questi signori che l'Europa galleggia sul petrolio e che sarebbe sufficiente non regalarlo alle compagnie petrolifere straniere a prezzo da saldi per averne abbastanza per i prossimi vent'anni, e lo stesso dicasi per il metano. Per il resto che cosa importiamo di indispensabile dagli altri continenti? Componenti elettronici? Perchè, non possiamo forse farci le nostre maschere e produrceli in Europa? Fino a prova contraria fino a qualche anno fa SGS ed Inmos producevano processori in linea con quelli fabbricati da Intel ed AMD. Poi le logiche di mercato hanno favorito questi ultimi ma, in caso di necessità, non ci sono problemi insormontabili. E lo stesso dicasi per le memorie e per i componenti di potenza che, anzi, sono in alcuni casi ancora prodotti in Europa. Non c'è, in tutto il mondo dell'elettronica, nessuna tecnologia che non si possa replicare in Europa, i costi potrebbero essere superiori, ma in cambio si creerebbe occupazione e, detto inter nos, non mi sembra che sarebbe un male.
   Per fortuna, almeno per ora, l'ufficio europeo dei brevetti ha rigettato le richieste statunitensi di un brevetto che tuteli il software, altrimenti potremmo avere delle serie difficoltà in quanto gli americani hanno la mania di brevettare tutto creando sbarramenti spaventosi, ma la politica dell'EPO non lo consente e così, guardandoci intorno attentamente, potremmo scoprire che, tutto sommato, della bilancia monetaria con gli stati extraeuropei potremmo anche fregarcene del tutto.
   Ecco, allora, se esiste una scappatoia che consente di rigettare la crisi, oltretutto creando occupazione, perché non la si persegue? Torniamo alla domanda principale, perché la crisi? Cui Prodest? Semplice, perché la crisi consente di mantenere il potere delle multinazionali e delle banche invece di restituirlo agli stati ed a questa povera Europa che, altrimenti, potrebbe veramente diventare qualcosa di importante e di grosso e dire la propria nel mondo.
   Ecco allora che si spiega l'arcano. Chi sguazza nella crisi e chi ci soffre? Di chi è l'uomo Monti? Provate a rispondere a queste domande usando la testa e, magari, guardate dove lavorava Monti prima di venire a commissariare l'Italia e qual'è la sua opinione sulle liberalizzazioni. In altre parole, ma siamo proprio certi che il capitano della squadra stia giocando per noi?
   

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