giovedì 10 maggio 2012

la dignità di essere produttivi

"Il lavoro rende liberi" Auschwitz, campo di concentramento
"Il lavoro nobilita l'uomo". Bella frase, alle volte anche vera, ma quando? Sicuramente nell'alzarsi la mattina per andare a mungere le mucche, arare un campo, concimare, seminare...e poi andare a letto la sera dopo aver ancora una volta munto le mucche, mangiando ciò che si è prodotto con il sudore della propria fronte, c'è una certa dignità, ma ci sono anche tanta fatica e poca sicurezza. Per questo nel corso dei secoli ci si è evoluti, ci si è per così dire specializzati, dividendosi i compiti in base alle
capacità ed alle possibilità di ognuno. Sono nati arti e mestieri e sono rimasti tempo e forze per un po' di svago e per lo studio, per accrescere la cultura e cercare di evolversi ancora. Tutto questo, è vero, è nobile, bello e dignitoso, ma oggi le cose stan cambiando.
   Se dovessi identificare, nella storia, il punto in cui si è verificato questo cambiamento, non saprei proprio dove collocarlo. Da qualche parte intorno alla metà del secolo scorso, direi, ma il confine è labile ed evanescente, ci si è spostati in direzione di una civiltà dei consumi dove il lavoro non è più inteso come apportatore di benessere ma come fine a sé stesso. Scomparsa l'opzione basica, quella di dedicarsi alla casa ed ai campi demandando ad altri il compito di procurare il poco denaro necessario alla vita di tutti i giorni e disgregato il nucleo familiare che rendeva attuabile questa opzione, siamo scesi in una spirale che rende indispensabile il lavorare per produrre denaro, anche quando si fa un lavoro assolutamente inutile, fine a sé stesso per l'appunto, e fra tutti i lavori fini a sé stessi, privi di dignità e che non nobilitano nessuno, il peggiore è forse quello di promoter telefonico.
   Non mi piace rispondere al telefono quando lavoro, mi distrae da quello che sto facendo e mi costringe a ritrovarne, poi, il filo, perdendo inutilmente tempo, per cui di solito taglio corto con voce seccata, ma stamattina mi hanno chiamato mentre il PC stava partendo e la signorina aveva una voce particolarmente gradevole, così me la sono presa comoda.
signorina: - Pronto, qui è la ..., vorrei parlare con il titolare.
io: - Perché?
signorina: - Per presentare i nostri servizi.
io: - E di quali servizi si tratta?
signorina: - Effettuiamo "mail promotion".
io: - Signorina, capisco perfettamente che lei faccia solo il suo lavoro e che non sia colpa sua, ma io penso che la pubblicità via mail rompa solo le scatole.
signorina (rassegnata): - L'ha detto lei, faccio solo il mio lavoro.
io (per non parere troppo brusco): - Facciamo tutti il nostro lavoro, si fa quel che si può.
signorina: - Non creda che piaccia neanche a me, (sommessa) si fa quel che si può.
   Cazzarola, che depressione. Una ragazza giovane, almeno dalla voce, ed abbastanza intelligente da rendersi conto dell'inutilità di quello che sta facendo, che perde giorno dopo giorno gli anni migliori della sua vita a telefonare a gente che, quando va bene, la manda a quel paese con gentilezza e che, quando va male, le fa proposte oscene. Non solo non c'è nessuna dignità in quello che sta facendo, è prostituzione della più bieca. Mi domando quanta dignità possa restare in una civiltà che consente una cosa del genere. Se un lavoro è inutile è inutile, il fatto che possa, in un qualche modo, generare denaro, non lo rende migliore. Se tutte le risorse che questa nostra società spende in lavoro inutile fossero destinate a migliorarla, oggi vivremmo ad un passo dal paradiso.
   Ed allora, per favore, cerchiamo, a partire dai giovani che ne sono le prime vittime, di non incentivare il consumismo. Cerchiamo di indirizzare i nostri sforzi in qualcosa di utile, che possa migliorare le cose e non peggiorarle. Evitiamo, specialmente, di lavorare solo per lavorare o, per lo meno, cerchiamo delle alternative. Con meno si può vivere ma senza dignità si può solo sopravvivere.

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