sabato 12 marzo 2016

Vampiri

Copertina
  Non molto tempo fa ho letto, nella rivista dell'ADVS, del pensionamento della dottoressa che, per anni, è stata il simbolo del reparto donazioni del S. Orsola e, pensando a lei, al fatto che persino in età pensionabile era rimasta una bella donna ed al fatto che, in generale, le dottoresse chi si occupano dei prelievi sono, indistintamente, delle belle donne, mi è venuto da scrivere questo racconto che oggi pubblico
sperando che possa divertirvi almeno quanto mi sono divertito io a scriverlo.
   Che testa di cazzo, penso salendo le scale che portano ai donatori. C’è gente che per giustificare il proprio egoismo è disposta ad inventarsi  le cose più assurde. Vampiri, ma andiamo, siamo nel 2013 e questo mi parla di vampiri, ed allora perché non di lupi mannari già che ci siamo. L’infermiera all'accettazione è sempre quella, storica, mi dà il foglio da compilare, i gettoni per la macchina del caffè e mi vidima il tagliando del parcheggio. Parcheggiare gratis e bersi un caffè alla macchinetta, non male no in cambio di una sacca di sangue? Compilo il foglio dichiarando di non aver avuto rapporti a rischio, di non essermi drogato, di non aver fatto viaggi nella giungla e di non avere avuto malattie significative negli ultimi sei mesi e lo restituisco all'infermiera che, ovviamente, non lo degna di uno sguardo e mi dà in cambio una cartella con stampato in cima il mio numero di chiamata. In America, rifletto, li pagano i donatori. Questi americani sono proprio degli incivili, non ci si fa pagare per un po’ di sangue, non si può mettere il cartellino del prezzo alla vita di una persona no? Certo che se ci fossero i vampiri…”da quant'è che esistono le banche del sangue in Italia, lo sai?” ha detto il mio coinquilino stamattina, sul pianerottolo di casa. “no, ma cosa c’entra” ho risposto. “C’entra c’entra. Chissà com'è che fino a che non sono nate le banche del sangue in Italia si parlava ancora di vampiri ed in certe zone la gente metteva l’aglio davanti alle porte di casa mentre adesso i vampiri sono stati relegati a fare da comparse nei film per adolescenti ed il profumo dell’aglio è diventato, come dire, disdicevole?” “forse perché siamo diventati più intelligenti?” ho risposto io “o magari perché per popolare i nostri incubi bastano quelli come te, senza nessun bisogno di inventare personaggi di fantasia?” “se lo dici tu” ha proseguito imperterrito “ma allora dimmi, quante persone conosci che abbiano fatto una trasfusione in vita loro?” “Bè, fammi pensare” in realtà, però, mi sono reso conto che, anche scavando a fondo nella memoria, ne conoscevo solo uno, un amico che, con la madre RH negativa ed il padre positivo, era stato trasfuso alla nascita. “Ok, uno solo, ma dove vuoi andare a parare con questo?” “allora: tu conosci un solo trasfuso, e quanti donatori conosci?” “Bè, tanti. Siamo tanti, l’Italia è un paese civile, anzi, di tutti quelli che conosco tu sei l’unico che non dona ma adesso devo andare sennò ci metto tutta la mattina ed io sono a digiuno da ieri sera, voglio cavarmela in fretta ed andare a fare colazione.” Mi sono fiondato giù dalle scale più per non proseguire quella discussione odiosa che per la fretta, ma non sono riuscito ad evitare l’ultima frase, beffarda: “ed allora, se a donare siete tanti e ci sono così pochi trasfusi, mi vuoi spiegare dove lo mettono tutto sto sangue, a fort Knox?” 
   Mentre la dottoressa con gli occhi grigi mi fa la visita pre-donazione, auscultandomi, misurandomi la pressione e ripetendomi le domande del questionario, come se potesse essere cambiato qualcosa da quando l’ho compilato, inizio a fare un po’ di ginnastica aprendo e chiudendo il pugno destro. Non è facile beccarmi la vena e, se non voglio che stiano a cercare mezz'ora con l’ago sotto la mia pelle, devo aiutarli un po’ con un esercizio che la metta in evidenza. La dottoressa è una bellissima donna, di quelle che, se le incontri per la strada, ti giri a guardarle e, magari, per farlo vai anche a sbattere contro un palo ma, in questo contesto, la sua bellezza risalta in modo asettico, freddo. Mi dico che mi piacerebbe incontrarla più tardi, al bar, mentre prendo il caffè ma forse no, forse non mi piacerebbe veramente, è troppo fredda, distaccata, mi rendo conto che mi metterebbe in imbarazzo persino sorriderle. Entro nella sala donazioni e mi siedo su una delle nuove poltrone. Davanti a me c’è un tizio che legge qualcosa su un e-book mentre gli fanno una plasmaferesi. Furba l’idea, ti tolgono il sangue intero e separano il plasma, poi il resto lo rimettono dentro e, in questo modo, puoi donare più spesso e, dicono loro, con meno conseguenze. Sarà anche così ma io preferisco che non mi rimettano dentro niente. Si lo so, tutto è sterile e monouso ma no, grazie, se volete un po’ del mio sangue fate pure ma non datemi indietro niente. 
   Dei tre medici presenti in sala, uno è occupato con un nuovo donatore e, prima del prelievo, gli sta spiegando per filo e per segno la procedura, uno è impegnato a sigillare ed etichettare una sacca di sangue ed il terzo, una mora sottile, con le gambe lunghe e snelle dalle caviglie svelte che spuntano affascinanti da sotto il camice e che neanche gli immancabili zoccoli verdi da ospedale riescono ad imbruttire, sta controllando le bilance sotto le sacche dei donatori. Ci vorrà un po’, mi dico, e mi rimetto a pensare alle stupidaggini del mio coinquilino. I vampiri promotori della raccolta del sangue e noi la mandria ignara. Una genia di mostri potenzialmente immortali che, dopo essere stati quasi sconfitti dagli umani nel secolo scorso, grazie ad i nuovi mezzi di comunicazione sono riusciti a rigenerarsi fomentando due guerre mondiali e migliaia di conflitti e che, oggi, hanno trovato un sistema ancora migliore per sopravvivere alle nostre spalle, al punto che non hanno nemmeno bisogno di venirci a cercare per prenderci il sangue, glie lo portiamo noi direttamente, consegna a domicilio. Ridicolo, semplicemente ridicolo ma sarebbe una buona idea per un racconto breve, mi riprometto di scriverlo, un giorno.
   Frattanto la dottoressa dalle gambe snelle si è liberata e si è avvicinata alla mia poltrona. Le porgo il braccio affascinato dalle lunghe mani affusolate. Lei mi passa le dita sull’incavo del braccio, per sentire la vena e sembra quasi una carezza. Sono certo di essere arrossito ma lei non pare farci caso, mi infila l’ago con una certa delicatezza ma senza esitazioni, così, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Certo che ci sono persone che hanno il carisma, questa c’è nata per questo mestiere. Spio ancora un attimo il suo profilo mentre si gira verso una collega senza abbandonarmi il braccio, un gesto banale ma che evidenzia la curva delicata del seno, la linea del collo e la silhouette del mento che invita lo sguardo verso il profilo delle labbra semiaperte. Un’immagine rara, un peccato doverla affidare solo alla memoria. Sarebbe bello, mi dico, avere una macchina fotografica incorporata nel cervello, poter bloccare quest’istante e farne un milione di copie ed una, magari, darla a lei, perché possa stupirsi da sola di questo momento di perfezione. Peccato solo che, con questa luce, ci sia un riflesso. Poca cosa ma sufficiente ad evidenziare il dettaglio dei canini i quali,  da questa angolazione, sembrano un po’ più lunghi del normale. 

Nessun commento:

Posta un commento