martedì 7 agosto 2012

Biodiversità genetica e sopravvivenza di una specie

Più diversa di così...
   Quando si parla di biodiversità, di norma, si intende  parlare della ridondanza di specie che occupano la stessa nicchia ecologica (diversità tassonomica). I bufali del nord America occupano la stessa nicchia ecologica delle vacche, dunque nel caso di estinzione (ma i bufali non si erano già estinti per caso?) di una delle due specie l'ecosistema può continuare a funzionare senza grossi problemi. Certo, non potremo più assistere allo spettacolo di
mandrie di milioni di capi che galoppano nelle immense praterie ma, per fortuna, la biodiversità avrà salvato l'ambiente dalla catastrofe totale. Buona cosa, quindi, la biodiversità tassonomica, ed un vero peccato che l'uomo faccia di tutto per ridurla, ma c'è un altro tipo di biodiversità, meno visibile ma non meno importante, che si sta lentamente ma inesorabilmente riducendo, quella inter-specie, più comunemente detta biodiversità genetica. La biodiversità inter-specie è data dalla differenza di patrimonio genetico fra gli individui di una stessa specie ed è quella che consente l'adattamento e la sopravvivenza della specie in caso di modificazioni ambientali
Piante di actinidia abbattute
per la batteriosi
   Prendiamo ad esempio l'Actinidia, più volgarmente detto Kiwi. Negli ultimi anni una batteriosi che danneggia la pianta fino a distruggerla si è sparsa più o meno per tutti i continenti. Le actinidia delle varietà verdi, più resistenti alla batteriosi, riescono a sopravvivere ed a fruttificare senza eccessivi problemi, quelle delle varietà gialle no. Il fatto che, in tutto il mondo, le varietà coltivate di actinidia non siano più di una dozzina non aiuta certo i vivaisti nel tentativo di sviluppare nuove varietà gialle immuni o quanto meno resistenti alla batteriosi. Se il patrimonio genetico disponibile fosse maggiore, se si fosse privilegiata la varietà piuttosto che la resa delle coltivazioni, oggi sarebbe più semplice garantire la sopravvivenza di questa specie. Non è difficile pensare, infatti, che la distruzione sistematica di tutte le cultivar non interessanti dal punti di vista commerciale abbia eliminato, in questi anni, proprio quei geni che oggi ci consentirebbero di combattere questa malattia con successo.
Ape europea
   Pensiamo ancora alle api. Le api che, ironia della sorte, sono le più grosse cause di biodiversità vegetale, provvedendo all'impollinazione incrociata di migliaia di specie, sono messe in pericolo proprio dal fatto che, per la loro scarsa diversità dovuta a millenni di allevamenti e selezioni da parte dell'uomo, resistono a fatica ad alcuni parassiti e, se si unisce questo fatto alla mortalità indotta da antiparassitari e trattamenti vari delle piante, non è impossibile trovarsi a pensare ad un futuro senza api (cioè ad un ben misero futuro considerando che sono proprio questi insetti ad impollinare la maggior parte degli alberi da frutto che noi coltiviamo).
   L'uomo, con la sua arroganza, sperpera un patrimonio genetico sviluppatosi in millenni di evoluzione in nome di obbiettivi che, sulla scala temporale adeguata, non si possono neanche definire a breve termine ma, addirittura, obbiettivi lampo, e questo mette a rischio la possibilità di mantenere la vita come noi la conosciamo sulla terra. Pensiamo alle strategie, opposte, messe in campo dagli animali e dalle piante superiori da un lato, da virus e batteri dall'altro. Entrambi cercano di vincere la competizione evolvendosi: virus e batteri grazie alla grandissima velocità di mutazione dovuta ai ridotti tempi di riproduzione, animali e piante grazie alla grande mutabilità dovuta alla riproduzione incrociata. Questo è vero, e fino ad ora l'equilibrio è stato mantenuto, grazie al fatto che ci sono enormi quantitativi di materiale genetico a cui attingere nella riproduzione incrociata; se questa variabilità diminuisce l'equilibrio si sposta a favore di chi ha preferito una strategia basata sulla frequenza di riproduzione.
   Pensare ad un futuro dove virus e batteri provochino l'estinzione di intere specie non è così difficile, dunque, quando sperperiamo il nostro patrimonio genetico. E quando abbiamo l'arroganza di cercare di controllare questi fenomeni facendo uso indiscriminato di antibiotici ed antivirali, ci limitiamo a rimandare il problema di qualche anno. E' noto, infatti, che l'uso di antibiotici, pur risolvendo il problema puntuale, provochi la formazione di ceppi batterici antibiotico-resistenti. Lo stesso vale per quanto riguarda i virus contro i quali, oltretutto, le armi a disposizione sono meno numerose e, già di base, meno efficienti. Ci troviamo già oggi ad usare antibiotici molto diversi, molto più complessi e, specialmente, molto più tossici rispetto a quelli che si usavano vent'anni fa. Questo sia perché lo scadere dei brevetti porta le farmaceutiche a rinnovare il parco dei farmaci che, più semplicemente, perché lo sviluppo di ceppi batterici resistenti ha reso inutilizzabili antibiotici che prima funzionavano benissimo.
   Comunque, tornando a bomba alla biodiversità, domandiamoci cosa è che la mina, sia nel caso della biodiversità tassonomica che nel caso di quella inter-specie: Per entrambi i problemi la causa è da ricercarsi nella somma di due fattori: la collocazione dell'uomo all'interno della piramide alimentare rispetto al numero di uomini presenti sulla terra. Se l'uomo si collocasse, infatti, al livello degli erbivori, 6 miliardi di uomini sulla terra non causerebbero tanti danni. Il loro consumo in termini di risorse primarie sarebbe sì alto, ma non preoccupante. Il fatto, però, che gli uomini pretendano di collocarsi in un ruolo privilegiato spostandosi verso la cima della piramide aumenta sconsideratamente il prelievo. Per fare un chilogrammo di carne servono un migliaio di chilogrammi di cereali, ad esempio, e migliaia di litri di acqua.
I cavalieri dell'apocalisse:
pestilenza, guerra, carestia
e morte.
   Ecco che, per poter mantenere tassi di consumo così elevati, l'uomo è costretto ad operare delle scelte che danneggiano delle specie, limitando così la diversità tassonomica, e ad operare in monocoltura facendo uso di antiparassitari ed altre porcherie e continuando così non solo a ledere la diversità tassonomica ma anche quella inter-specie. Un comportamento autolesionista che, se protratto ancora per qualche anno, porterà il sistema a collassare. Poi, devo dirlo, sono relativamente ottimista in merito. Quando si arriverà al punto di rottura non si estinguerà la vita sulla terra, ci saranno carestie, guerre ed epidemie, i soliti vecchi cavalieri dell'apocalisse galopperanno per un po' sulla faccia della terra e, quando l'uomo sarà più o meno estinto, tutto riprenderà a funzionare come prima. Niente di grave quindi, solo, non vorrei esserci quando succederà.

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