martedì 20 settembre 2016

El Calafate e el Perito Moreno.

   E dopo Ushuaia, el Calafate, città simbolo della terra del fuoco. Quando Magellano giunse, per primo, in questo territorio che segna la fine dell'America australe, i fuochi accesi nell'interno dagli indigeni Yàmana per scaldarsi, il cui fumo era visibile dalle imbarcazioni, ardevano minacciosi, spingendo i superstiziosi marinai a chiamare questa terra prima "terra dei fumi" e, in seguito, "terra del fuoco", nome che le è rimasto da allora. Si tratta, in realtà, di un arcipelago, che, unito alla parte terminale del continente, forma la terra del fuoco, oggi in massima parte appartenente alla nazione Argentina e, in misura
minore, al Cile.


   La terra del fuoco, con le sue temperature rigide ed il vento che, perenne, la spazza, è una delle potenziali risorse per il futuro del pianeta. Energia eolica ed acqua a volontà, in un territorio quasi completamente disabitato la cui superficie è più o meno equivalente a quella dell'Italia, attende solo uno sfruttamento intelligente delle risorse per potersi trasformare nel "granaio" delle Americhe o, meglio, nel frutteto delle Americhe ma, in attesa della sua evoluzione, possiamo goderci il territorio selvaggio, talmente crudo ed arido che per l'allevamento di un solo animale sono necessari dai due ai tre ettari di terreno. Territorio dove si trovano, ai piedi delle Ande, gli immensi ghiacciai che formano il Lago Argentino, meta di turisti provenienti da ogni parte del globo.

   Al Calafate, è chiaro, si va per visitare il Perito Moreno e gli altri ghiacciai, meno famosi ma non meno imponenti, che scendono nelle chiare acque del lago, ed il Perito Moreno, in primis, lo si visita a piedi, attraverso un percorso di pochi chilometri che si svolge su di una passerella che lo fronteggia.  La visione, inizialmente dall'alto, non rende l'idea dell'immensità del ghiacciaio fino a che non si scende a livello dell'acqua. Solo qui, infatti, ci si può rendere conto delle reali proporzioni e solo qui il continuo rumore del ghiaccio che si spacca può essere accompagnato, con un po' di fortuna, dalla vista di immense schegge di ghiaccio che crollano nelle acque del lago. Si tratta di uno spettacolo unico dove l'azzurro del ghiaccio, delle acque e del cielo dominano amplificando la sensazione di vivere al confine di un mondo magico, popolato da mitici giganti e dei.
   La gita al Perito Moreno, così chiamato in onore di Francisco Moreno, esploratore che per primo attraversò in lungo ed in largo la terra del fuoco e che dedicò, in tarda età, tutte le sue risorse economiche per la formazione di un parco atto a conservare le sue peculiarità, è solo il primo approccio ai ghiacci perenni. Conviene, infatti, acquistare un passaggio per il giro dei ghiacciai in catamarano, giro che dura circa 5 ore e che consente, in tutta comodità, di osservare dal lago diversi ghiacciai ed iceberg o "tempani", come sono detti dai locali. La gita, anche grazie al tempo splendido, si rivela spettacolare e, malgrado la velocità del catamarano, anche durante i trasferimenti si può restare in coperta senza soffrire il freddo.
   Il fatto è che, quando si visita la terra del fuoco, il tempo può cambiare con la rapidità di un fulmine e non è raro restare uno o due giorni rinchiusi in albergo. Per questo motivo ci si riserva sempre un giorno o due in più per ogni eventualità e, quando va tutto bene, bisogna trovare il modo migliore per occuparli. Fermo restando che, da bravi italiani, non vediamo nessun motivo per attraversare il pianeta e giungere alla fine del mondo solo per andare a sciare, decidiamo di visitare il parco de los glaciares partendo, per la nostra escursione, da El Chalten. Si tratta di un piccolo villaggio, a 3 ore di strada da El Calafate, strada che si può percorrere con un bus (si tratta di un "bus semicama", ovvero di un bus di linea con le poltrone reclinabili che consentono di farsi comodamente un pisolino durante il trasferimento) o in taxi. Il costo sembra più o meno lo stesso e quindi decidiamo per il bus che, malgrado l'ora antelucana della partenza, ci consente di restare uniti ed anche di riposare un po'.
   Durante il viaggio possiamo vedere chilometri e chilometri di terra quasi brulla. L'unica vegetazione che resiste al vento, fortissimo, è sostanzialmente nana ed a lentissima crescita tanto che gli animali necessitano, per pascolare, di superfici enormi. Incontriamo Guanacos, qualche percora e qualche vacca ma, data la media di 3 ettari per animale, gli incontri sono veramente sporadici. Il panorama, invece, con la vista del lago argentino sullo sfondo, é meraviglioso.
Un ghiacciaio (credo il Ledma) compare improvvisamente durante
l'escursione
   Giunti a El Chalten scopriamo, per la prima volta, cosa significhi il vento a queste latitudini. In una giornata di relativa calma quando si è investiti in pieno si fatica a restare in piedi, difficile pensare a come debba essere una vera bufera. Comunque, dopo qualche perplessità, ci infiliamo su per il sentiero che porta alla laguna Capri, l'unico, percorribile nel tempo che abbiamo a disposizione. Si tratta di circa quattro chilometri e mezzo all'andata ed altrettanti al ritorno con un dislivello totale fra il punto di partenza ed il punto più elevato di circa 450 m. Durante il percorso, per altro, il dislivello totale si assomma a circa 600 m all'andata ed altrettanti al ritorno il che, sommando la sosta per il pranzo, porta il tempo totale dell'escursione a circa 4 ore.
    Il sentiero si snoda attraverso distese brulle battute dal vento e gole riparate che ospitano boschi nei quali i picchi provocano vere morie di alberi che poi, per il clima rigido e normalmente secco, impiegano anni per degradarsi trasformando con la loro presenza spettrale questi luoghi in scenari ideali per la fuga di Biancaneve dal castello della feroce matrigna. Riusciamo anche a scorgere, oltre che a sentire, una coppia di picchi al lavoro, ma fotografarli è una impresa.
Il tempo non è splendido e, specialmente durante il ritorno, incontriamo nevischio e pioggia leggeri ma sufficienti a bagnare per bene le nostre giacche a vento, al punto che decidiamo di rinunciare ad una seconda gitarella di un chilometro (due con il ritorno) perfettamente in piano e di attendere il bus nel rifugio con l'aiuto di un paio di ottime birre alla spina. Mentre ci riscaldiamo comodamente seduti di fianco ai caloriferi riflettiamo sul fatto che questa, forse, è stata l'unica gita dove il clima capriccioso di queste terre si è fatto sentire mostrandoci, in poche ore, una varietà stupefacente. Meglio non scherzare con il clima, da queste parti, ed avere sempre con sé gli abiti adatti al freddo perché in un attimo il tempo può cambiare, ancor più rapidamente che sulle Alpi.
   Il consiglio che vorrei dare a chiunque desideri visitare questi luoghi è quello di organizzarsi per passare almeno una notte al rifugio. I prezzi sono modici (molto più economici che a El Calafate) ed il rifugio è bello e ben organizzato. Si può dormire in quadruple con uso del bagno comune o in doppie con bagno in camera ed usufruire dell'intera giornata per il trekking senza il timore di perdere la coincidenza per il rientro. Di tutti i sentieri possibili quello che noi abbiamo percorso è il più breve ma ce ne sono altri che richiedono anche più di otto ore per essere completati e volendo, ci si può organizzare per dormire nel parco. La birra, anche se mi sembra di averlo già detto, è ottima, nettamente al di sopra degli standard argentini.
   Un'ultima considerazione sulla terra del fuoco e su El Calafate, la vorrei fare. Innanzi tutto la città di El Calafate, a differenza di quella di Ushuaia, è assolutamente in crescita e non si trova sospesa nel tempo in attesa di qualcosa che non succederà mai. Qua lo spirito imprenditoriale è ammirabile ed il turismo è al centro di ogni iniziativa. Alberghi, ristoranti, locali, negozi di ricordini, mercati artigiani ed agenzie che propongono le gite più disparate, tutte sembrano lavorare congiuntamente per offrire il massimo a chi visita questi luoghi e, ovviamente, per vuotargli il più possibile le tasche. La qualità dei servizi è alta e non credo che se i nostri altoatesini, che io prendo sempre come riferimento per un turismo ben fatto e rispettoso della natura, avessero in mano queste risorse saprebbero poi fare di meglio. Diverso, invece, è il discorso relativo allo sfruttamento delle risorse naturali. In un posto come questo il vento costante potrebbe voler dire energia a volontà e la presenza di immensi quantitativi di acqua dolce unita ad un clima molto più mite di quanto si potrebbe pensare vista la latitudine, consentirebbe la coltivazione in serra di quasi tutte le specie fruttifere esistenti, banane comprese. Nell'ottica di una costante desertificazione del pianeta, mi sembra che avviare una sperimentazione tesa a rendere produttiva un'area così vasta dovrebbe essere un obiettivo primario del governo argentino che invece rimane in attesa di iniziative private, iniziative ben lungi da venire. Io, personalmente, se dovessi investire qualche milione di dollari non avrei dubbi in proposito, il futuro del pianeta è qui, dove acqua, spazio, luce solare ed energia sono disponibili in abbondanza e ad un costo irrisorio.
   

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